Germogli

- Germogli -

Anna è sul marciapiede, che aspetta di attraversare, un’occhiata alla strada, è libera, le squilla il telefono, s’avvia e risponde.

Sul lato opposto, di fronte a lei, seduti su una panchina, due fanciulli sembrano guardarla. Anna accenna un sorriso e loro ricambiano.

Si avvicina e chiede se abbiano bisogno di qualcosa. Sono piccoli e stanno lì da soli.

“Aspettiamo mamma e papà “.

Risponde la femminuccia, la più grandicella dei due.

“Chiedevo se avete bisogno di aiuto”.

Insiste la donna.

“Aspettiamo mamma e papà”.

Di nuovo la bimba.

“Mi chiamo Simone”.

Le fa il bambino. Mentre Anna si sta voltando per andar via.

“Piacere, io sono Anna”.

“E questa bella piccina come si chiama?”

“Io sono Noemi“.

Con la vocina orgogliosa, accompagnata da due occhioni, che fanno tenerezza.

Erano nomi che Anna amava. Così avrebbe chiamato gli altri due figli, avesse scelto di farli nascere e fossero stati uno maschio e l’altra femmina.

Sarà stato anche per questo che, nonostante andasse di fretta, chiede se può sedere anche lei su quella panchina. E loro le fanno spazio, tra l’uno e l’altra, così da farla accomodare in mezzo.

I due bambini la scrutano, senza distoglierle lo sguardo di dosso, e lei, ora che può guardarli da vicino, li abbraccerebbe, tanto sono belli, se non glielo impedisse un malinteso senso del pudore.

“Aspettate da molto?”.

Chiede Anna.

“Da un po’ “.

Risponde Simone.

“Tu vuoi bene ai tuoi figli?”.

Le fa Noemi.

“E chi ti fa credere che io abbia dei figli?”.

 Anna, con un sorriso.

“Comunque, sì, ho due figli, che sono tutta la mia vita”.

Noemi si incupisce, Simone abbassa lo sguardo. Ed Anna che, ad un tratto, avverte in quei due bimbi sconosciuti un che di familiare, si intenerisce e li stringe a sé. Accogliendo le loro testoline sul suo ventre.

È solo un attimo e quell’abbraccio svanisce. Anna si sente afferrare, c’è qualcuno che la tiene ferma e le preme forte sul petto, un altro che le mette una mascherina sul viso. Di sottofondo, il suono della sirena ed un frastuono di voci indistinte. È distesa sull’asfalto ed ha appena ripreso a respirare.

Anna era al telefono, che attraversava la strada, ed è stata investita. È il 3 novembre e rimarrà in ospedale fin quasi a Natale. Passano alcuni mesi, siamo nella settimana che precede la Pasqua, è il giovedì santo. Il giorno in cui, Anna, ogni anno, da tradizione, dona ai suoi figli un dolce di pasta frolla a forma di pupa, per la femmina, e di cavallo, per il maschio. Fatto da lei o, altrimenti, comprato.

Quel giovedì, ella preparò il dolce con cura, più di quanto avesse mai fatto. E fece due pupe e due cavalli. Sulla loro panchina, Simone e Noemi, i suoi bimbi mai nati, germogli nel giardino dell'Eden, sorrisero felici. E lei, finalmente materna, dalla sua cucina, allargò le braccia, cingendosele, poi, forte al petto, in un figurato abbraccio, stretto stretto.

 

 

 

 

 

 

Commenti

Post popolari in questo blog

L'Amore che non muore

Amore Infedele